Tanzania UNO - Lake Manyara, Ngorongoro, Serengeti ...
Ciao,
Eccomi qui ...
18.02.18: (mattino presto, ora di NON so dove!): siamo in volo verso il “Kilimanjaro International Airport”.
1997: Lago Malavi, provenendo da Roma via Londra,
2018: Serengeti da Abidjan via Nairobi
Qual’è (o quale vorrebbe essere) il punto di contatto? Semplice! La Tanzania dove torniamo dopo ventuno anni!!! Sarà un giro molto comodo tra Serengeti, Ngorongoro e Zanzibar (a fare i “tuffi”), niente a che fare con la precedente esperienza. Mentre l’aereo plana su Arusha i ricordi mi assalgono, l’angoscia dl “lasciare” mi assale … Piango, nel modo più discreto che posso, ma piango.
Pomeriggio: dopo un sano “pisolo” (in realtà una sonora dormita di alcune ore) va meglio, MOLTO!
19.02.18: mentre faccio colazione osservando, dal patio, le impala davanti a noi rifletto sulle differenti scale di valori della vita: per la signora – beta lei - che passa facendo jogging coi cani è normale fare ciò, noi ci godiamo un “morso” d’Africa … mentre molto lontano c’è chi è in fila sul G.R.A. o chi, alzandosi ala mattino, dalla sua finestra ammira il grigio profilo della tangenziale …
Riserva del Lago Manyara (uno dei tanti “Soda Lake” della zona. situata alle propaggini della “vera” Rift Valley): è l’ambiente più “forestale” che io ricordi in Africa occidentale eppure gli avvistamenti si susseguono. Leonardo inizia a scattare molto meglio e di “litigi” per la Nikon si fanno più frequenti. Devo dire, ad onore del vero, che è discreto: si capisce che gli piace ma condivide volentieri. Va bene così …
Bashay Rift Lodge, a sera (ambiente francofono, non gradisco affatto): siamo sulla via di Ngorongoro. Il cielo è ingombro di nuvole minacciose. La pioggia è nell’aria, speriamo resti lì!
20.02.18: è sera. Sostiamo in un sedicente (in realtà sfacciatamente lussuoso) campo tendato sulle rive del Lago Masek. A Ngorongoro più che gli avvistamenti – notevole comunque la scena dei leoni che si accoppiano perché non comune ad osservarsi - colpisce l’ambiente in cui ci si muove: si scala la parete esterna del vulcano, sino a quasi 2.500 metri di altezza poi si discende nella piana: lievi colline si inseguono solcate da piste sabbiose infinite ed apparentemente tutte uguali, nel mezzo vari laghi salati (più o meno secchi vista la stagione arida ormai alla fine).
Ngorongoro è – in lingua Maasai – la campana che i pastori applicano al collo degli armenti per non perderli nella savana.
E che dire del Serengeti? Pianure sconfinate, sabbiose a tratti, macchiate da gruppi di acacie. Il nostro fuoristrada va e va e va e va e va … immerso in una strana caligine sabbiosa che ottenebra i sensi, e fa perdere l’orientamento mentre intorno a noi, di tanto in tanto, spuntano come fantasmi gli abitatori della piana. Sul finire, forse per la stanchezza, l’occhio inizia nuovamente a “tirare” ma tengo botta …
Divido ancora la Nikon con Leonardo: inizia a fare buoni scatti anche se, ad onta degli inviti, sovente largheggia un po’ troppo sullo stesso soggetto.
Serengeti – da leggersi “Si-rin-ghe-ti” - significa – ancora in lingua Maasai – Pianura senza fine. Mai nome fu più azzeccato!
21.02.18: stanotte nella “Canzone della Foresta”, forte e chiara sotto stelle luminosissime, sono risuonate imperiose le note del “Re della Foresta”, roche e profonde venivano da lontano a tacitare tutto e tutti.
Mattino: concerto di uccelli mentre tutto si colora. Sorbisco un eccellente thè in attesa di andare. Mentre cerco di non pensare al tempo che fugge il Serengeti ci aspetta. Cercherò, ancora una volta, col resto del gruppo quello che è divenuto “l’elusivo” (per definizione): il LEOPARDO!
A sera dormiremo a Kati Kati Camp. Si tratta di una struttura che, con un po’ di buona volontà, può definirsi un campo para-militare: elettricità razionate, doccia col secchio (per fortuna con acqua scaldata preventivamente), no Wi-Fi, Internet od altre connessioni.
Sono seduto sotto la tenda principale (funge da living room, qui vengono serviti i pranzi) ed osservo una copiosa, attesissima, pioggia bagnare il Serengeti. Rifletto sulla giornata odierna: tanti avvistamenti …
La “Grande Migrazione” è uno spettacolo che leva il fiato: una moltitudine sconfinata di gnu e zebre (in arrivo da Kenya in cerca di acqua e pascolo) che avanza lenta nella piana assolata e polverosa. I predatori, ovviamente, attendono al varco e, qui e là, i risultati si notano. Ma – sopra ogni cosa – la caccia è conclusa: dopo averlo inseguito per mezza Africa non uno ma addirittura due leopardi finiscono vittime dei nostri obiettivi. Una “lente” più potente del mio 400 mm forse mi avrebbe consentito scatti più ravvicinati, ma mi accontento.
D: può un leopardo mangiare una vecchia?
D: può, per giunta – mangiarne parecchia?
R.: . . .
Poche volte, come in questi giorni che stanno rappresentandogli ultimi trascorsi in questa Rift Valley, che mi è tanto cara dei tempi lontani di allevatore di ciclidi del Malawi e dei viaggi al lago medesimo, ho “sentito” l’Africa in un modo così profondo: passo dalle lacrime irrefrenabili scendendo verso l’aeroporto di Kilimanjaro a quella sorta di ebbrezza, infinita e profonda, che il vento della piana che ti soffia in faccia porta verso di me.
22.02.18: dopo una notte piovigginosa è una splendida alba ad illuminare il Serengeti. Stiamo per partire con un problema di carica (delle batterie): la notte – ad evitare i danni causati dalle iene che spesso – nottetempo – vengono ad ispezionare il campo - tutto il materiale fotografico (e non solo) viene riposto in zona sicura dove, però, non si può ricaricare. Conclusione? … BATTERIE FIACCHE!
Uscita fruttuosa: molti ghepardi, molti leoni, antilopi … sfuse ed a pacchetti. Se non fosse per il “solito” occhio … comunque procediamo spediti. Pranzo (cestino) alla base di partenza delle mongolfiera che, periodicamente, vola sulla piana. Una esperienza che, prima o poi, amerei fare. Vedremo.
Sera, diciamo tardo pomeriggio: sono ancora seduto sotto la tenda grande: è appena cessato di piovere e, mentre scrivo, il mio ”Green Tea” continua la sua infusione. Questi giorni passeranno (addirittura) alla storia come i “giorni dei felini”: accoppiamenti di leoni, una “leona” che beve, ghepardi, due pigri leopardi, leoncini vari e – dimenticavo – leone che … MAGNAAA!!!
Sulla via del riorno una grosso Mamba (nero) attraversa la pista dinnanzi a noi. Riesco – con un po’ di mestiere e fortuna, a tirare fuori due scatti dignitosi.
Domani voleremo a Zanzibar e (visto che quello - per me è - mare, bellissimo ma
Mare) lasceremo l’Africa avendo come unica certezza il fatto che non è certo se, e quando, vi torneremo. Panta rei (πάντα ῥεῖ), mi do un contegno ma mi fa male, tanto. Penso a Karen Blixen che, dopo gli intensissimi anni narrati in “La mia Africa”, non è più tornata (non è più voluta tornare?) tornata in Africa spero che il futuro non mi riservi la stessa prova.
D.: perché mi portate via?!?!?
R.: . . .
E quindi si va (con voli interni operati da piccoli aerei leggeri mono o bimotori a seconda dei casi. Alle volte questi velivoli sono anche utilizzati – ci è successo un paio di volte - in forma “privata”, è comodo, relativamente, semplice e veloce (poco economico) ma questi “piccoletti” soffrono molto il vento, le correnti, i vuoti d’aria e “ballano” (tanto): la morale?
È semplice … Seronera/Manyara/Arusha/Zanzibar: una lunga scia di … vomito!
Francesco
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PS: un pò di foto, per cominciare ...
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